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IL FLAMBADOU IL CONO ROVENTE CHE CONOSCONO IN POCHI (E UTILIZZANO ANCORA MENO)

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IL FLAMBADOU È UN CONO DI FERRO ROVESCIATO, CAVO ALL’INTERNO E CON UN LUNGO MANICO IN ITALIA E’ POCO UTILIZZATO. SERVE A SCIOGLIERE IL GRASSO ANIMALE CHE VA A INSAPORIRE I PIATTI PER GENERARE NUOVE FRONTIERE DEL GUSTO 

Il Flambadou è uno strumento antico che risveglia la magia del fuoco primordiale e accende di meraviglia gli occhi di chi ama le cotture non convenzionali, quelle che più comunemente vengono chiamate a fuoco vivo.

Dimenticatevi, dunque, i moderni dispositivi a induzione, niente di più noioso e scontato, il Flambadou è tutt’altra cosa. Per definizione è scenografico. Sembra fatto apposta per catturare gli sguardi curiosi dei commensali.

Si pensa infatti che questo strumento a forma di cono rovesciato sia nato nel Medioevo e che al tempo venisse usato sia nella cucina di strada sia durante i banchetti. Inoltre, a ben guardare, si può cogliere una qualche relazione con l’arte della lavorazione dei metalli e alcuni studiosi suggeriscono perfino un legame con l’oreficeria.

Che qualche mente alchemica, ispirata dai testi arabi, abbia voluto trasformare i cibi in oggetti preziosi? l’ipotesi è suggestiva ma tale rimane. Per capire l’utilità del flambadou affidiamoci, dunque, al metodo empirico, ovvero all’osservazione, che ci svela una realtà molto più semplice.

ll grasso animale, una volta inserito nel cono capovolto, a contatto con le pareti roventi, fonde. Diventa liquido. Il grasso fuso comincia così a colare sulla carne, oppure sui frutti di mare (e perchè no, volendo anche sulle verdure), donando agli alimenti un elegante caramelizzazione.

Se poi interpelliamo il naso e ascoltiamo il palato, ci accorgeremo che la reazione di maillard rende più complesso e attrattivo non solo il profumo ma anche il morso di questi cibi. Cibi che, con questa tecnica, fanno un salto di livello, diventando piatti invitanti e raffinati.

Se ne sono accorti alcuni ristoratori italiani, che hanno deciso di utilizzare il flambadou per ampliare la proposta gastronomica e sorprendere così la propria clientela.

IL FLAMBADOU E I DUE CIPPI

“Io il Flambadou lo suo soprattutto sul pesce per amplificare la percezione del sapore e quindi è come se facessi un surf and turf moderno con un metodo antico,” afferma Lorenzo Aniello, titolare de I due Cippi, pluripremiato Beef Restaurant a livello mondiale. 

Lorenzo ci tiene a sottolineare quello che a primo acchito non si vede o si fa difficoltà a notare: l’abilità di chi utilizza questo strumento. Chi maneggia il flambadou infatti può decidere sia il tipo di grasso da utilizzare sia fino a che punto arroventare le pareti metalliche. La differenza è importante e influisce sul sapore della preparazione. 

“Diciamo che ci sono due scuole sull’utilizzo di questo strumento – spiega Lorenzo – la prima scuola fa incendiare il grasso, la seconda invece no. A me piace la prima opzione, col grasso che prende fuoco, perché così il grasso va in pirolisi, sviluppando aromi più intensi, aromi affumicati, tostati, con note caramellate e alla fine la preparazione sa davvero di brace.

“La seconda scuola invece non prevede la combustione del grasso che quindi non si scioglie e conferisce alla preparazione sfumature odorose più delicate che vanno verso l’affumicatura”. 

IL FLAMBADOU E L’ANTICA TRATTORIA DEL RENO

Prima di arrivare in Italia il Flambadou ha girato l’Europa, facendo tappa in  Francia, Spagna, Svizzera e perfino in Svezia. Proprio nel paese scandinavo e precisamente a Stoccolma Enrico Bigi, il titolare dell’Antica Trattoria del Reno di Bologna, ha scoperto questo antico arnese da cucina.

“Ero all’Ekstedt, celebre ristorante di Stoccolma, quando lo vidi per la prima volta. – ricorda Enrico – Lo posarono sulle braci ardenti, ci misero del grasso giallo di vacca e prese subito fuoco colando in una fiammata spettacolare sulle ostriche”. 

“Il risultato fu una caramellizzazione incredibile, tipo la crosticina della crema catalana: sotto il prodotto restò freddo o crudo, sopra invece si formò una crosta saporita e intensa. Una figata pazzesca!”.

a dex Enrico Bigi

Da allora è stato amore a prima vista e ora Enrico il flambadou lo usa anche nei suoi ristoranti. “Lo usiamo più le per serate speciali. – spiega il ristoratore di Bologna – All’Antica Trattoria del Reno lo abbiamo utilizzato per insaporire i carpacci, mentre al Sabbia di Mare lo abbiamo usato sia con le ostriche sia con le mazzancolle.

“Ad ogni modo, per me il flambadou dà il meglio di sé all’aperto – continua – con le braci accese, ad esempio, quando cucino con l’Ofyr davanti ai clienti”.

Lorenzo Aniello

FIAMME OSTRICHE INSALATA E FLAMBADOU

“Per noi il Flambadou è parte integrate della cucina, insieme al Josper (il mitologico forno a carbone spagnolo ndr). Questo cono in ghisa vive costantemente tra carboni del nostro forno a carbone, e posso dire senza problemi che per Barroso è un elemento indispensabile”. A parlare è Nicola Lamacchia, del Ristorante Barroso di Tirrenia, alle porte di Pisa.  (premiato tra le migliori 50 SteakHouse d’Italia).  

“Il Flambadou da’ una connotazione unica ai nostri piatti. Ci piace utilizzarlo con le ostriche. Nelle ostriche togliamo l’acqua di mare e ci aggiungiamo il grasso fuso di vacca, e questo genera un mix di sapori a nostro avviso eccezionale, sapori inarrivabili”.

“E poi,  per non farci mancare niente, ci condiamo l’insalata alla brace. Al posto dell’olio utilizziamo il grasso sciolto in questo cono ancestrale. Siamo molto soddisfatti di quello che stiamo facendo con questo strumento”. 

Nicola Lamacchia

ORIGINI DEL FLAMBADOU

Si ritiene che le origini del Flambadou vadano ricercate nella Francia meridionale, in particolare nella regione dell’Aveyron, dove veniva usato per condire con il grasso fuso l’oca o il piccione durante la loro cottura alla brace. Poi il suo utilizzo col tempo si è stato esteso anche ai frutti di mare, in particolare alle ostriche e agli scampi.

Oggi il Flambadou è stato riscoperto dalla ristorazione italiana. I ristoratori italiani hanno scoperto che il grasso fuso apporta notevoli benefici alle preparazioni: crea un contrato fra la superficie croccante e la polpa sottostante dei frutti di mare che invece è morbida; amplia lo spettro olfattivo, conferendo note più rustiche e decise ai piatti.

inoltre, l’intensità del sapore può essere regolata, decidendo quali grassi utilizzare e facendo fiammeggiare o meno il grasso. Sicuramente la componente scenografica non è da sottovalutare, perché integra e completa l’esperienza gastronomica. 

Articolo di Gianluca Bianchini 01/07/2025

 

 

 

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