Perché il cliente, anche se mangia male, non te lo dice apertamente anche se gli rivolgi la classica domanda “come è andata”?
Succede quasi sempre. A fine pasto il cameriere o il proprietario del ristorante arriva al tavolo, con sorriso e buona educazione, e pone la fatidica domanda: «Com’è andata?».
Nel 90% dei casi la risposta è automatica, quasi un riflesso condizionato: «Bene, grazie».
Ma se fosse andata male? Se la pasta fosse scotta, la carne troppo cotta o il servizio lento e approssimativo? Perché i clienti, invece di dire chiaramente quello che pensano, preferiscono sorseggiare il caffè, pagare il conto e andarsene in silenzio?
La verità è che entra in gioco un aspetto psicologico complesso, fatto di educazione, di paure e di dinamiche sociali che si ripetono ogni giorno nei ristoranti di tutto il mondo.
La cortesia come automatismo
Rispondere «bene» è la via più semplice. È un atto di cortesia, quasi un automatismo sociale. Mentire in quel momento è una white lie, una “bugia bianca” che serve a evitare inutili frizioni. Un modo per campare meglio, come direbbero alcuni.
Dopotutto, il cliente non ha interesse a mettersi a discutere: ha già mangiato, ha già speso, vuole solo chiudere l’esperienza senza altre complicazioni.
La paura dello scontro
C’è poi la questione del confronto diretto. Dire a un ristoratore che non si è mangiato bene non è come restituire un prodotto difettoso in un negozio: qui si tocca la sensibilità personale di chi ha cucinato o gestito il servizio.
Il cliente non sa mai come l’altro reagirà: potrebbe offendersi, arrabbiarsi o ribattere con tono aggressivo.
Il rischio? Trasformare un pranzo già deludente in una vera esperienza spiacevole.
Molti clienti, pur avendo le competenze e l’argomentazione giusta per lamentarsi, preferiscono evitare lo stress e l’imbarazzo di una scena.
Non rovinarsi la giornata
Il cibo non è solo nutrimento: è esperienza, convivialità, piacere. Un cliente insoddisfatto spesso preferisce lasciar perdere piuttosto che rovinarsi del tutto il pranzo con discussioni inutili.
È un atteggiamento pragmatico: «Tanto ormai è andata così. Non vale la pena rovinarsi la giornata».
Ecco perché esplodono le recensioni online
Questa dinamica spiega perfettamente il successo di TripAdvisor, Google Reviews e dei social.
Se nel faccia a faccia il cliente preferisce mentire per quieto vivere, online trova lo spazio ideale per sfogarsi.
Dietro la tastiera non ci sono sguardi, non c’è il rischio di imbarazzi, non c’è il proprietario che ribatte o si offende. Lì si può dire tutto: dalla critica più feroce al dettaglio più insignificante.
Il risultato è che le recensioni online hanno assunto un peso enorme nella ristorazione moderna. Sono diventate lo strumento con cui il cliente bilancia un silenzio che mantiene in sala, ma rompe una volta tornato a casa.
Il cliente, anche se mangia male, molto spesso non lo dice apertamente durante il pranzo. Non è ipocrisia, ma una strategia psicologica di sopravvivenza sociale: evitare lo scontro, non cercare lo stress, non rovinarsi il momento.
Il vero sfogo, semmai, arriverà dopo, quando il cliente si sentirà protetto da uno schermo e da una tastiera. Ed è lì che i ristoratori dovrebbero guardare con attenzione: non tanto alle frasi di cortesia dette in sala, ma a quelle scritte, spesso senza filtri, nel mondo digitale.
Molto spesso i ristoratori si giustificano dicendo: «Ma riguardo a questo piatto non si è mai lamentato nessuno» oppure «Di questa ricetta tutti mi dicono che va bene».
Ecco, qui bisognerebbe prendere in prestito la citazione di Antonino Cannavacciuolo nel programma Cucine da Incubo: la gente ti dice che quel piatto gli è piaciuto per disperazione, lo mangia perché ha fame e perché ormai ha pagato.
La realtà è che dietro quel «mi è piaciuto, tutto bene» si nasconde spesso solo la voglia di non rovinarsi ulteriormente la giornata dopo aver mangiato male in un ristorante pessimo.