COSTOLUTO TONDO OBLUNGO E A CILIEGIA LE FORME DEL POMODORO SONO DAVVERO TANTE COME I SUOI COLORI I SUOI SAPORI E LE SUE AVVENTURE VI RACCONTIAMO LA STORIA BREVE MA SAPORITA DI UN PILASTRO DELLA CUCINA ITALIANA
“Viva la Pappa col pomodoro” cantava Rita Pavone negli anni Sessanta e come darle torto visto che non è possibile immaginare le nostre tavole senza la salsa di questo prolifico immigrato messicano. San Marzano, Pachino, Fiaschetto, Spagnoletta sono solo alcune delle tante varietà coltivate nelle nostre campagne.
Tutti frutti molto sugosi e carnosi punteggiati da quei semini che ricordano tanto i raggi del sole. Una delizia per la cucina, un toccasana per il palato. Sorridono primi piatti e parmigiane, gioisce la pizza e si illumina perfino l’insalata e così il pomodoro, colorando i nostri cibi, ha acquisito sempre più importanza a tavola.
Simbolo dell’Italia nel mondo vanta onori, certo, ma raccoglie anche sfide importanti se pensiamo alla sua enorme raccolta. Ai milioni di tonnellate che ogni anno gli si ritorcono contro a causa del caporalato e che paradossalmente ne mettono a rischio il patrimonio genetico. Anche se va detto che nel complesso la piccola agricoltura tiene, custodendo come in uno scrigno la sua preziosa e inestimabile bio diversità.
STORIA E ORIGINE DEL POMODORO : LA SCOPERTA IN MESSICO
Ancor prima che arrivasse in Europa il pomodoro era un frutto molto apprezzato nell’America precolombiana, sia dalla società Inca che da quella Maia. Le donne azteche lo usavano infatti per condire tortilla di mais o più semplicemente per arricchire verdure come fagioli, melanzane e peperoni. Successivamente, quando a inizio Cinquecento, il tomatl venne scoperto in Messico e per la precisione nei giardini del Re Montezuma, Hernan Cortez, il famoso conquistadores, decise che se lo sarebbe portato con sé in Spagna. E fu così dunque che il primo carico d’oro rosso sbarcò in Europa.
In realtà però di rosso il tomatl aveva ben poco. Tanto è vero che si presentava come un frutto tondo coperto da una scorza gialla tinta da alcune striature vermiglie. Una caratteristica questa che in seguito gli avrebbe valso il nome appunto di pomo d’oro.
STORIA E ORIGINE DEL POMODORO : UN TALENTO INCOMPRESO
Ma per gli immigrati si sa l’inizio non è mai facile e a questa regola non ha potuto sottrarsi nemmeno il re della dieta mediterranea. Una volta giunto nel Vecchio Continente, il pomodoro è rimasto a lungo lontano dalle cucine, perché? Perché all’epoca la gastronomia era un tutt’uno con la medicina e i medici quando non lo consideravano velenoso lo ritenevano comunque un alimento d’ostacolo alla digestione.
Anche se a discolpa del pomodoro andrebbero citate alcune attenuanti. Bisogna sapere, infatti, che il pomodoro prima di arrivare nel Mezzogiorno passò per Francia e Nord Italia, luoghi non proprio ideali per un frutto abituato ad essere baciato dal sole e siccome quando non matura al suo interno contiene la solanina, una sostanza che in effetti può diventare velenosa, al pomodoro fu assegnato un ruolo meramente ornamentale, volto cioè ad abbellire i giardini rinascimentali, al tempo ricchi di curiosità esotiche.
STORIA E ORIGINE DEL POMODORO : L’INCONTRO CON I MACCARONARI
Ma la vocazione del pomodoro era ben altra e a capirlo per primi sono stati i campani. Infatti, se avessimo fra le mani una cartolina dell’Ottocento vedremmo Napoli pullulare di osterie, con fuori le caldaie sia per la cottura della pasta che della salsa. Insomma, era destino che la corporazione dei vermicellari, detta anche maccaronari, incontrasse il pomodoro suggellando il matrimonio con una spolverata di formaggio.
Ma dall’album dei ricordi affiorerebbero anche altre immagini. Ad esempio, quella del pizzaiolo Raffaele Esposito che serve la sua pizza alla regina Margherita o gli scorci dei vicoli con le bacche lasciate essiccare al sole per farne conserve da consumare durante l’inverno. Insomma, siamo alla soglia dell’industrializzazione del pomodoro, voluta dall’imprenditore piemontese Francesco Cirio, che nel 1856 a Torino aprì la prima fabbrica, poi bissata a Napoli mezzo secolo più tardi.
STORIA E ORIGINE DEL POMODORO : IL RISCHIO DELLA COMMODITY
Nel secondo Dopo guerra il successo del pomodoro è stato travolgente entrando in modo indelebile nella cultura popolare. Chi come me ha più di 40 anni ricorderà come tutta la famiglia a settembre era impegnata a fare la salsa poi imbottigliata e stipata nelle cantine. Ma all’improvviso, verso la fine degli anni Ottanta, questa tradizione si è interrotta, perché? Perché il pomodoro, o meglio il suo seme, ha cominciato ad essere prodotto in laboratorio.
Un’innovazione che ne ha incrementato la raccolta certo ma non immune da difetti. Il pomodoro nato dall’incrocio di due sementi, infatti, anche se presenta un colore più vivace, una scorza più dura e una maggiore resistenza alle virosi perde in qualità organolettiche. Quindi, un prodotto di questo tipo, coltivabile ovunque e facilmente trasportabile, è molto più simile a una commodity (ovvero a una materia prima) che non a un frutto tipico di un territorio.
PRODUZIONE E PROBLEMI ETICI
La produzione industriale ha inoltre consolidato la geografia della raccolta con due grandi distretti produttivi: la Puglia e la Campania a Sud, l’Emilia Romagna a Nord. Anche se queste due ultime regioni, assieme alla Lombardia, sono molto più votate alla trasformazione che non alla raccolta del pomodoro.
Ad ogni modo, così strutturata la produzione nazionale è decollata. Tanto che nel biennio 2015/2017 sono stati raccolti 4,6 milioni di tonnellate per un fatturato di ben 3,15 miliardi di euro. Numeri che testimoniano anche la crescita della nostra esportazione: l’Italia, infatti, dopo Cina e Stati Uniti, è il terzo esportatore al mondo. Ma all’interno di questo sistema globale e così efficiente, purtroppo, si sono verificati degli effetti collaterali.
Primo fra tutti la distruzione delle piantagioni di pomodoro in Africa che ha spalancato le porte all’immigrazione stagionale in Puglia, specialmente nel foggiano, dove gli extra comunitari soffrono, assieme ai nostri braccianti, la piaga del caporalato.
RESISTONO LE VARIETA’
Per fortuna non tutto il pomodoro si è piegato alla logica del mercato e anche in Puglia sopravvivono eccellenze squisitamente locali. Tra le tante: il pomodorino di Manduria, la Regina di Fasano o il Tondino di Barletta. Ma si può dire che un po’ in tutte le regioni del centro sud le aziende agricole hanno preservato un’importante varietà.
Basti pensare che come i vini anche il pomodoro ha i suoi sommelier. Professionisti che ne valutano le caratteristiche in base a quattro aspetti fondamentali: colore, profumo, gusto e armonia. E’ così, dunque, che si distingue un San Marzano da un Piennolo Vesuviano o un Pachino da una Spagnoletta piuttosto che da un Ciliegino o un Minuetto. Insomma, sapori e aromi differenti che dànno un tocco unico ai nostri piatti e che proprio per questo motivo dovremmo imparare a conoscere e soprattutto a preservare.
di Gianluca Bianchini 23/04/2020