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MANGIARE A FERRARA: VIAGGIO NEL TEMPO TRA SALAMI ALLA BRACE, CAVIALE DEL PO, ANGUILLE E INTERI BUOI ALLO SPIEDO

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MANGIARE A FERRARA SIGNIFICA RISCOPRIRE TRADIZIONI ANTICHISSIME, STRAPPARLE ALLA NEBBIA DEL TEMPO E DELLE VALLI. LÀ DOVE MUORE IL GRANDE FIUME NASCONO RICETTE GUSTOSE CHE TRASPORTANO IL PALATO E LA MEMORIA IN UN VIAGGIO SENZA CONFINI. UN TURBINE DI GHIOTTONERIE IRRESISTIBILI: DAL SALAME ALLA BRACE ALL’ANGUILLA, DAI BAGIGI AL CAVIALE DI PO, PASSANDO PER INTERI BUOI ALLO SPIEDO.

Ferrara è un ossimoro: terra d’acqua; d’una calma irruenta che nasce dove muore il Grande Fiume, anche lui re dei contrasti. Placido ma indomabile, capace di tremende piene. Su queste rive fertili è nata Ferrara. “Città ideale” in maniera rinascimentale, impreziosita da palazzi di rara bellezza e da prospettive teatrali. Le sue terre torbide – che diventano laguna e si rigenerano col vento e la marea – un tempo portavano miasmi e malaria. Oggi raccontano la storia e i sapori di una provincia mitica, sospesa tra le nebbie e il mare. Sulla sua tavola alcuni dei prodotti tipici delle campagne emiliane si mescolano col pesce di un delta senza confini. Per chi ama la brace, il ferrarese è una scoperta infinita, un’oasi di gusto dai sapori cangianti e contraddittori: insaccati alla brace, anguille e vongole, interi buoi allo spiedo e piccole uova di pesce, per realizzare l’unico caviale del Po. Sono cose che ti cambiano la vita. Dalla foce del nostro fiume maestro, inizia il percorso alla scoperta delle meraviglie culinarie di una provincia da scoprire. O meglio, da gustare.

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MANGIARE A FERRARA

MANGIARE A FERRARA: IL RUGGITO DEL MAIALE

L’agricoltura ferrarese è tutt’oggi uno dei settori più importanti dell’economia provinciale: dà lavoro a più persone che in qualunque altra zona del nord-est, con 8.763 industrie attive nel settore e 180 mila ettari di superficie agraria complessiva. Il nostro viaggio parte qui, dove nascono alcune specialità tipiche, come l’aglio di Voghiera, la zucca violino, la carota del delta. Qui dove sconfinate distese di meloni dell’Emilia riforniscono di succosi frutti tutto lo Stivale. E poi, nei fertili terreni alla foce del Po, sabbiosi e ricchi d’acqua, si concentra circa il 40% della produzione emiliano-romagnola di asparagi. Ma, in tutto questo ben di Dio, la parte del leone la fa il maiale! Sono tantissimi e tutti gustosi gli insaccati ferraresi: la Salama “da sugo” e quella “da tai”, la Bondiola, la Zia. E il salame alla brace è una specialità che non potete farvi scappare.

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MANGIARE A FERRARA: SALAME ALLA BRACE

MANGIARE A FERRARA: SALAME ALLA BRACE

Il salame alla brace è un piatto tradizionale delle campagne della pianura padana. La sua storia risale (manco a dirlo) all’epoca risorgimentale: i norcini romagnoli, dopo l’uccisione e la lavorazione del maiale, usavano cuocere un salame fresco, avvolto in carta di mais, sotto le ceneri e le braci. L’usanza è nominata per la prima volta in occasione di un pranzo luculliano, offerto nel 1688 dal duca Alessandro II Pico della Mirandola. Fortunatamente, questa antica tradizione è arrivata fino a noi: ogni anno, a Dodici – piccola frazione del comune di Cento – un’intera sagra viene dedicata a questa prelibatezza. Per riproporlo anche sulla vostra tavola basterà che prendiate un salame fresco di circa una settimana, lo avvolgiate in carta stagnola (meno vintage ma più funzionale delle bucce di pannocchia) e lo adagiate sotto la cenere calda. Copritelo frequentemente con qualche brace in modo che la cottura avvenga lentamente: così per tre, quattro ore circa. Una volta pronto, tagliate fette alte un dito e servite con polenta abbrustolita.

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MANGIARE A FERRARA: PREPARAZIONE DELLA BONDIOLA

MANGIARE A FERRARA: ANTICHE GHIOTTONERIE INSACCATE

Non crederete che sia finita qui? Tra le ghiottonerie ferraresi come non citare la Bondiola de la Senza, un insaccato prodotto con la carne della testa del maiale, polpa magra macinata e lingua bollita aromatizzate con vino rosso dolce, aglio, sale e pepe e, talvolta, con cannella e chiodi di garofano. Tradizionalmente si mangia 40 giorni dopo Pasqua, il giorno dell’Ascensione, dopo una cottura di circa 2 ore.Oppure la “Zia”, altro caratteristico salume antico, già nei ricettari del maestro Cristoforo da Messisbugo, scalco alla corte dei Duchi d’Este. A base di suino, sale, pepe ed aglio fresco macerato nel vino bianco.

La salama da sugo, protagonista indiscussa della tavola natalizia, è a base di coppa, pancetta, fegato, testa e lingua legate con brandy, vino robusto, cannella e chiodi di garofano. Anche qui l’origine è antica: risale ad una ricetta settecentesca di Don Domenico Chendi, parroco di Tresigallo. Si cuoce in una pentola alta e stretta, tenendola legata ad un cucchiaio messo di traverso sul bordo, per evitare che tocchi le pareti o il fondo. La salama da tai invece, è un insaccato al naturale, prodotto in inverno e stagionato almeno sei mesi in case rurali, senza riscaldamento e solai. Il clima umido permette la perfetta stagionatura di questo prodotto, privo di qualsiasi additivo, determinata dal formarsi di muffe grigio-azzurre.

MANGIARE A FERRARA: BUE ALLO SPIEDO
MANGIARE A FERRARA: BUE ALLO SPIEDO

MANGIARE A FERRARA: BUE ALLO SPIEDO, UNA SAGRA STELLARE

Ci vogliono 24 ore, un giorno e una notte interi, per la perfetta cottura del Bue allo Spiedo. Nessun problema per i cuochi di Cento, che da fine luglio a metà agosto si alternano nell’estenuante preparazione, per portare in tavola l’arrosto perfetto. Dalle sapienti mani degli chef da sagra escono piatti tutt’altro che “da strada”: il bue si sposa col tartufo, coi funghi, il pepe verde, con le cipolle caramellate. Oppure viene accompagnato da salsa di Parmigiano e prosciutto di Parma o immerso in crema di zucca e scaglie di grana. Per non parlare degli appetitosi accostamenti con la mostarda di Cremona in salsa di ribes o con la crema di scalogno e formaggio di fossa. Una sagra che meriterebbe tante luccicanti stelline Michelin.

MANGIARE A FERRARA: ANGUILLE ALLA BRACE
MANGIARE A FERRARA: ANGUILLE ALLA BRACE

MANGIARE A FERRARA: ANGUILLA E BAGIGI

Nascono tutte nel piratesco Mar dei Sargassi e arrivano fino alle valli di Comacchio, racchiuse tra il Po, il Reno e l’Adriatico: le anguille sono un altro asso della gastronomia locale. Dal portale provinciale del turismo spiegano che «sfruttando l’influenza delle maree sull’istintivo spostarsi delle anguille, ancora oggi si utilizzano le antiche tecniche di pesca come il semplice e geniale lavoriero, un intricato sistema di cattura costituito da camere comunicanti». Con ben quarantotto differenti piatti di anguilla, la gastronomia ferrarese ne fa vera e propria bandiera: dal delicato risotto fino alla griglia sulla quale l’anguilla sprigiona tutto il suo intenso aroma.

Già il nome fa simpatia, il gusto è paradisiaco: il bagigino è un’alice poco più che neonata. La “taglia minima di pescabilità” è consentita solo nelle Valli di Comacchio, per una particolare autorizzazione: qui i bagigini non sopravviverebbero all’inverno. Tanto vale che non vadano sprecati: si preparano fritti assieme ai gamberetti di valle, marinati, marinati a crudo.

MANGIARE A FERRARA: CAVIALE DEL PO
MANGIARE A FERRARA: CAVIALE DEL PO

MANGIARE A FERRARA. IL CAVIALE DEL PO

Anche qui la ricetta si perde nelle nebbie del tempo e della pacifica campagna ferrarese. Raccolto nel libro di Cristoforo da Messisbugo Banchetti, “Composizioni di vivande e apparecchio generale“, stampato nel 1549, il segreto del caviale cotto ha rischiato di scomparire per sempre. Grazie ad una sola donna, lo possiamo ancora assporare: a Runco, nell’Agriturismo Guest House Le Occare, Cristina Maresi ha “restaurato” questo capolavoro di ricetta. «Come ce l’abbia fatta», racconta Luigi Pansini sul Resto del Carlino «è quasi un miracolo. Fin dal primo Novecento, a Ferrara, la persona al corrente dei segreti per cucinare il caviale era Nuta Ascoli, proprietaria di un’indimenticata gastronomia ebraica in via Mazzini». Tra ricerche e passaparola, con esperimenti di governanti e notai appassionati di gastronomia, il misterioso caviale del Po riesce a risalire la corrente ed arrivare fino a noi: Cristina Maresi trova le uova di storione «grazie a un tenace allevatore trevigiano. Nel novembre 2009 tornava in tavola il ‘caviaro’, come Messisbugo voleva. ‘Ponerai le uova nel forno che sia onestamente caldo per spazio di due pater nostri’. Così è scritto, e così è stato fatto. Amen».

di Silvia Strada 08/05/2016

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