LA CRISI DELLA CHIANINA? LE RESPONSABILITA’ SONO DA CERCARE DENTRO CASA NOSTRA TRA ALLEVATORI TROPPO IMPEGNATI AD AFFRONTARE IL PRESENTE PER GESTIRE IL FUTURO E LE ASSOCIAZIONI VARIE CHE PENSAVANO DI CAMPARE DI RENDITA
La Chianina è in crisi. Se ne alleva di meno e se ne consuma di meno. Le vendite calano e pare abbia perso appeal. Questo il grido d’allarme sollevato dagli allevatori toscani e finito su molti giornali. Già, ma dove sarebbe la notizia? Per noi non c’è nulla di cui meravigliarsi. Era prevedibile che prima o poi il mercato avrebbe voltato le spalle alla più famosa delle razze italiane, la Chianina, conosciuta anche come la Regina Bianca.
Un po’ di dati a conferma del calo: negli ultimi 10 anni gli allevatori di razza Chianina nella provincia di Arezzo sono diminuiti del 27%, e il numero dei capi nelle stalle è sceso del 20%.
Ma perchè la Chianina è in crisi? Perchè il mercato le ha voltato le spalle? Di chi è la colpa se una delle carni più famose d’Italia rimane invenduta e poco richiesta? Proviamo a rispondere a queste domande.
LA CRISI DELLA CHIANINA – LE RAGIONI SECONDO GLI ALLEVATORI
Secondo gli allevatori i problemi principali sarebbero gli alti costi di gestione di un allevamento di Chianina, il calo generale dei consumi di carne rossa ( alla quale verrebbe preferita la carne bianca), e l’arrivo di carne meno costosa dall’estero. Argomentazioni che hanno sicuramente un fondo di verità.
Ma, c’è un “ma”. Tra le tante dichiarazioni lasciate alla stampa in questi giorni non ho trovato però nemmeno un’ autocritica da parte dei rappresentanti della Chianina. Non un “mea culpa”. Se un prodotto non decolla, o arretra, vacilla e perde quote di mercato, la responsabilità non può essere solo di fattori esterni.
Guardare in casa propria, capire cosa non funziona e cercare una soluzione interna deve essere un tappa obbligatoria di qualunque processo di autocritica. Cosa che non è stata fatta se non in modo marginale. Cerchiamo di capire cosa quindi non ha funzionato.
LA CRISI DELLA CHIANINA E IL CASO NOKIA
Probabilmente le varie associazioni di categoria che rappresentano la Chianina e i suoi allevatori non hanno mai fatto un corso di marketing. Uno di quelli dove alla prima lezione si parla del “Caso Nokia” e di come anche un marchio potente e in salute possa rischiare di fallire bruscamente proprio come accadde al colosso finlandese.
Breve ripasso. Nel 1998 Nokia è il marchio di cellulari più venduto al mondo. Nel 2003 viene lanciato il Nokia 1100 che risulterà essere il telefono cellulare più venduto nella storia dell’umanità.
Quando nel 2007 Apple presenta il primo iPhone la metà di tutti gli smartphone venduti nel mondo è Nokia, nessuno si accorge che è letamente ma inesorabilmente iniziata la crisi. Nokia è convinta di poter campare di rendita e non si accorge dell’ascesa di Apple. Nel 2013 il marchio Nokia viene acquisita da Microsoft e finisce un’epoca. Sulla crisi di Nokia sono stati scritti centinaia di libri tutti alla fine concludono che il brand Nokia sia fallito perchè i vertici non si sono accorti del mondo che cambiava e pensavano di vivere di rendita per l’eternità. Nulla di più sbagliato, sopratutto in un periodo storico dove tutto cambia alla velocità della luce.
L’attuale crisi della Chianina rimanda, con le dovute differenze, al “Caso Nokia”. Allevatori e associazioni di categoria per decenni si sono convinti che la Chianina non sarebbe mai andata in crisi forti della convinzione – a dire il vero molto toscana e molto provinciale – che fosse la miglior carne del mondo.
LA CHIANINA NON E’ (PIU’) SOLO UNA CARNE
Se qualcuno vuole salvare la Chianina deve smettere di pensare alla Chiania come una carne. No, la Chianina non è una carne. E’ molto di più. E’ un brand a tutto tondo. E come tale va gestita, lavorata, comunicata, venduta. E questo non è stato fatto. O non è stato fatto in modo efficace. Mentre la concorrenza avanzava e investiva in marketing, storytelling e comunicazione i vertici che dovevano difendere, promuovere e tutelare la Chianina sono rimasti fermi ad un approccio da anni 80.
E’ vero, è aumentata la concorrenza delle carni estere, ma se hanno rubato quote di mercato alla Chianina è perchè la Chianina ha permesso che questo accadesse. Chi doveva difendere la Chianina ha commesso lo stesso errore che commisero i vertici della Nokia. Niente aggiornamenti, niente narrazione convincente, nessuna strategia che mantenesse viva la fascinazione che la Chianina ha avuto nei consumatori fino a dieci anni fa.
Fanno bene gli allevatori a lamentarsi. Un prodotto di altissimo livello come la Regina Bianca messa ko da carni estere dai nomi esotici ma della cui origine spesso sappiamo molto poco. Ma il vero paradosso è un altro: siamo di fronte una materia prima di altissimo livello gestita molto male. Mettiamoci bene in testa una cosa: nulla si vende più da solo.
LA CRISI DELLA CHIANINA E I SOCIAL CHE NON VANNO
Ho fatto degli approfondimenti per capire quanto e come la Chianina sia attiva sui social e il risultato non è stato dei migliori. Su Instagram e su TikTok ho fatto una ricerca per hastag e ho paragonato i numeri della Chianina ad altre carni.
L’hastag “chianina” su IG compare 112mila volte; “wagyu” 2,6 milioni di volte; “Angus” 2,1 milioni di volte; “Rubia Gallega” sbanca con oltre 47milioni di risultati. Che vuol dire questo? Semplice. Su Instagram, che è il social del momento, la Chianina tira poco. Numeri risibili. La situazione non cambia se da Instagram si passa a TikTok (social popolato da giovanisismi che un domani saranno consumatori).
Anche qui la nostra carne viene dopo il wagyu, l’Angus e la Rubia Gallega. E se tiri poco sui social, poi non ti lamentare se le vendite calano.
La situazione non cambia, anzi peggiora, se ci spostiamo su Youtube, il social per definizione dove vengono pubblicati video e dove si può fare tanta bella comunicazione in maniera approfondita. Tolti i video realizzati in maniera autonoma da vari creator indipendenti a promuovere e difendere la Chianina ci dovrebbe pensare Il Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale con il suo canale ufficiale che però è praticamente invisibile: attivo da 12 anni ha 51 video pubblicati per un totale di 310 iscritti e una media di 50 visualizzazioni a video. Qualunque fosse lo scopo di queste pubblicazioni possiamo dire che è stato un fallimento. E’ come se ogni video venisse visto solamente da un condominio di dieci appartamenti. Decisamente troppo poco.
Insomma, i numeri generati sui social sono pochi, la narrazione del prodotto è insufficiente e poco strategica. Eppure il brand Chianina potrebbe creare delle fruttuose sinergie con altri brand italiani molto conosciuti all’estero.
Penso a brand come “Toscana”, “Chianti” o il sempreverde “Made in Italy”, molto conosciuti e apprezzati all’estero. Non si capisce perchè se il Chianti viene venduto e bevuto in tutto il mondo questo non possa capitare anche alla Chianina. Cosa impedisce alla Chianina di invadere i mercati esteri? Se questo non è accaduto è per una mancanza di visione e strategia di chi doveva proteggere la Regina Bianca.
Se chiedete ad un allevatore di Chianina quale sia la carne più buona del mondo la risposta nel 90% dei casi sarà solo una: la Chianina! E allora a fronte di questa convinzione qualcuno mi spieghi perchè “la carne migliore al mondo” merita marketing, comunicazione e strategia di crescita così mediocri.
Ora le strade sono due: continuare a lamentarsi e vedere perdere quote di mercato o prendere il toro per le corna e iniziare a ragionare in maniera decisamente diversa dando alla Chianina una vision diversa, più globale e meno provinciale. Le basi per cambiare rotta ci sono tutte. Basta volerlo e mettersi in gioco.