IL FOOD PORN NON FA SCONTI: IL WAGYU LA PREGIATA E RICERCATISSIMA CARNE GIAPPONESE UN TEMPO DESTINATA A POCHI E’ DIVENTATA INFLAZIONATA QUASI QUANTO LA CREMA AL PISTACCHIO
E’ ufficiale, siamo in piena “wagyuanarchia”. Dicesi “wagyuanarchia” la totale mancanza di regole e consapevolezza riguardo l’utilizzo e il consumo del wagyu. I primi segnali sono iniziati subito dopo il Covid, quando l’Italia si affacciava ad una lenta normalità. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, i segnali della wagyuanarchia aumentavano. La prova finale, la pistola fumante che mi ha messo di fronte ad una amara realtà , me l’ha sbattuta in faccia Instagram due giorni fa.
Partiamo dalla fine. 48 ore fa smanettavo su Instagram e mi sono imbattuto in un reel dove un tizio prepara un kebab con del wagyu. Prima stracuoce le striscioline di carne poi le schiaffa nel tipico panino del kebab e , senza alcuna coscienza gastronomia, impapocchia tutto con un multistrato di cipolle, salse alla yogurt, insalata, pomodoro, sale, pepe, peperoncino, tabasco e invita tutti ad andarlo a trovare. Manco a dirlo: video virale e migliaia di like e centinaia di condivisioni. Mentre quel video macina migliaia di like un allevatore giapponese si rivolta nella tomba.
COSA ABBIAMO FATTO DI MALE PER MERITARCI LA WAGYUANARCHIA
Premessa: se non conoscete il wagyu date una letta a questo articolo e poi proseguite la lettura. Se la pigrizia non vi ha fatto cliccare su quel link vi faccio una super sintesi. Il Wagyu fa riferimento a quattro differenti tipologie di allevamento presenti in Giappone: Kuroge Washu (o razza nera giapponese) Akage Washu (razza bruna), Mukako Washu (la senza corna) e Nihon Tankaku Washu (shorthorn).
Hanno tutti una caratteristica comune: la marezzatura molto spinta. A differenza delle altre carni che conosciamo di più, come ad esempio la Chianina o l’Angus, queste carni giapponesi sono molto più grasse. Si raggiungo certi livelli grazie al dna degli animali, al metodo di allevamento e a secoli di consolidato know how da parte degli allevatori. Queste carni hanno, o forse è meglio dire avevano, un’altra caratteristica: costi molto alti. Sopratutto per le nostre tasche. Fino a dieci, dodici anni fa il wagyu era una carne molto rara da trovare nelle steakhouse italiane. In pochi la importavano, in pochissimi la conoscevano ed erano ancora meno quelli che la capivano. Entrava di diritto in quegli alimenti “esotici” di cui si sapeva davvero poco. Poi la. situazione pian piano è cambiata (secondo me hanno contributo i mesi di covid chiusi in casa a vedere video a gogo).
ALL’INIZIO FU MASTERCHEF
Inizialmente il wagyu comparve in una puntata di Masterchef, io fui uno dei primi a parlarne sui social (registrai un video su Youtube che oggi ha superato il milione di view), aggiungeteci l’esplosione di Instagram e TikTok. Insomma, questa pregiata carne è entrata al centro della narrazione food. Attirando l’attenzione e la curiosità di molti.
WAGYUANARCHIA E COME FUNZIONA IN GIAPPONE
In Giappone fanno le cose seriamente. Questa carne viene classificata in modo rigido, ha tutta una serie di gradazioni e livelli e il disciplinare è molto severo. Ad un occhio allenato questa carne potrà sembrare tutta uguale, ma in realtà non è così. I parametri sono molti e non staremo qui ad elencarveli.
Sappiate però che le carni migliori non finiscono in Europa, o meglio, ci finiscono ma in minima parte. Vengono letteralmente fagocitate da tre mercati: quello interno giappo, quello americano e quello asiatico extra Japan.
Il wagyu meno nobile, quello meno costoso e che non passa gli esami, prende la via di altri mercati. Seguite il ragionamento: il wagyu aumenta la sua popolarità, la gente si incuriosice e inizia a chiederlo, gli importatori annusano la possibilità di fatturare e partono alla scoperta di questo mercato. Scoprono che quello più pregiato va a finire altrove. E qui si apre il mondo del wagyu più accessibile. Carni nate e allevate in Japan ma non perfette (almeno per i rigidi parametri giapponesi). E che problema c’è’? In Italia la conoscenza su questa materia prima è talmente poca che nessuno si metterà a sindacare. Vuoi il wagyu? Eccolo. Con tanto di etichetta con i caratteri orientali e post sui social.
Io ho assaggiato tutti i wagyu che sono arrivati in Italia negli ultimi sette anni. Dall’introvabile Hida Wagyu fino all’All You can Eat di Wagyu e devo dire per un palato allenato le differenze ci sono. Ma non si può nemmeno pretendere che il grande pubblico abbia queste competenze. Ora, non c’è nulla di male che il wagyu si stia espandendo e stia diventando sempre più accessibile. Il problema di tanta popolarità e tanta disponibilità è uno solo: la probabilità – alta – che finisca in mani sbagliate aumenta ogni giorno di più.
Mi spiego meglio: il wagyu ha delle caratteristiche uniche. E’ grasso, è dolce, le sue note rimandano al caramello, alla nocciola. Per apprezzarlo andrebbe mangiato in purezza (al massimo con un pizzico di sale) o alla maniera orientale, cuocendolo in un certo modo, con mini porzioni da 50-80 grammi. Qualcuno potrebbe obiettare: io pago e lo mangio come mi pare. Se voglio ci metto anche il sapone per i piatti sopra. Osservazione giusta, chi siamo noi per impedirti di rovinare la carne che paghi? Però sono convinto che vada rispettato il lavoro secolare degli allevatori giapponesi che seguono in modo religioso questi animali e la produzione di questa carne unica e che il modo più gastronomicamente appagante per apprezzarlo sia seguire un certo percorso.
Perchè dico questo? Perchè anche io ho commesso l’errore di cadere nella wagyuanarchia. Qui le prove: un video dove condisco una pizza con striscioline di questa carne.
Chiedo perdono. Erano i mesi post covid in cui non succedeva nulla. Qualcosa bisognava pur farla. Da quel giorno il pensiero della wagyuanarchia non mi ha più abbandonato. Fino a quando come un pugno sullo stomaco è arrivato quel kebab a base di wagyu. E mi sono detto che erano maturi i tempi per questa riflessione a cuore aperto.
Concludo queste righe invitando tutti a provare il wagyu in purezza, cotto al sangue, al massimo con un pizzico di sale grosso e con porzioni dai 50 agli 80 grammi. Apprezzate le sfumature di gusto e godete di quel grasso dai sapori così intensi. E ricordate: se pagate poco è perchè sotto i denti avrete gli scarti dei selezionatori giapponesi. Rimane infine una convinzione: per il kebab meglio usare il pollo.