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COME SONO NATI I PEZZETTI DI CAVALLO PUGLIESI

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NEL SALENTO L’INCONTRO TRA CULTURA GITANA E CONTADINA HA DATO VITA A UN PIATTO TIPICO LOCALE: “I PEZZETTI DI CAVALLO” NON È STATO UN CASO PERCHÉ IL POPOLO GITANO DA SEMPRE COMMERCIA CARNE EQUINA. 

I pezzetti di cavallo sono un piatto della tradizione gastronomica salentina. Una sorta di spezzatino arricchito con sugo di pomodoro o solo con il suo concentrato. Nascono dall’influenza che la cultura gitana ha saputo esercitare su questa terra. Prima sull’agricoltura con l’allevamento equino, poi sulla cucina con la vendita delle relative carni. Lo sa bene Claudio “Cavallo” Giagnotti, nipote del “più grande allevatore di cavalli del Sud Italia” nel secolo scorso.

Claudio 45 anni e personalità eclettica − è infatti sia regista che cantante − ricorda ancora le riunioni di famiglia nel paesino di Muro Leccese. I suoi zii eranno tutti coinvolti a vario titolo nella gestione della ditta fondata dal nonno Giuseppe meglio noto come Seppu Lu Zingaru. Ma il commercio dei suoi avi non basta a spiegare come l’influenza gitana si sia dispiegata nel Salento. Occorre andare indietro nel tempo fino al medioevo per poi tornare ai giorni nostri.

Carne equina
Claudio “Cavallo” Giagnotti

CARNE EQUINA IN PUGLIA : I GITANI NEL SUD ITALIA

“Ci sono due tesi sull’immigrazione gitana in Italia risalente al 1300. La prima è che dai Balcani via Dalmazia e Trieste siano giunti a Bologna per poi scendere nel Sud Italia. La seconda invece parla di uno sbarco nelle Calabrie. Ma bisogna tenere presente che nelle cartine antiche con le Calabrie si intendeva tutto il Sud Italia. Quindi, potrebbero anche essere sbarcati nel Salento che è molto vicino all’area balcanica dove risiede la maggior parte del popolo gitano”. Carlo con questa breve analisi storica ci spiega perché nel Mezzogiorno ci sono tante famiglie gitane.

Quasi tutte imparentate fra loro, queste famiglie sono accumunate anche da una innata predisposizione per l’allevamento equino, un’arte tramandata di generazione in generazione. “E se si pensa che fino al primo dopoguerra il cavallo era impiegato nei campi si comprende quanto importante sia stato il suo ruolo nella vita sociale del tempo e quale la natura del rapporto instauratosi tra gitani e contadini”.

Gallipoli
Il porto di Gallipoli dove giungevano navi che scaricavano cavalli

CARNE EQUINA IN PUGLIA : GIUSEPPE RINALDI DETTO SEPPU LU ZINGARU

Passiamo ora alla storia di Giuseppe Rinaldi, il nonno di Claudio. Tutto incomincia dopo “la guerra di Libia del ’26” quando tornato a casa  si è sposato con Antonietta Barbetta. Ora se Seppu fornirà il talento alla futura ditta di famiglia, sarà invece la moglie a darle il nome: Barbetta & Figli. Visto che lui, in quanto invalido di guerra e pensionato, non poteva intestarsene una.

Quest’uomo dalla corporatura imponente che a prima vista metteva un po’ a soggezione era in realtà una persona generosa e “di vita”, nel senso che conosceva bene il suo mestiere. “Mio nonno era un punto di riferimento per la comunità perché sapeva riconoscere gli animali più adatti al lavoro nei campi. La sua attività di commerciante di cavalli ha coperto tutta la Puglia ed è arrivata fino in Calabria. Ma importava equini anche dalla Francia, dalla Polonia, dalla Grecia e dalla Ex Yugoslavia”.

Carne equina
I pezzetti di cavallo

CARNE EQUINA IN PUGLIA : BARBETTA & FIGLI

Negli anni Cinquanta Seppu per guadagnare faceva il fruttivendolo ma al contempo si occupava di cavalli e  commercio di carne equina. Fino a quando negli anni Settanta decise di aprire la ditta. Oronzo, uno dei suoi figli, ricorda che era un’attività grossissima: “In una settimana si scaricavano fino a 500 cavalli e se ne macellavano 100-130”. “Gli animali − precisa Claudio − si scaricavano via terra con i tir e via mare dal porto di Gallipoli dove quasi ogni settimana giungevano navi dalla Grecia con un carico di 100-120 cavalli”.

La figura chiave della ditta era lo zio Lucio, il figlio maggiore, incaricato di girare le fiere in Europa per acquistare cavalli. Fiere che duravano giorni e dove almeno in Italia la lingua gitana era ed è tuttora − seppure in un contesto temporale più ridotto − uno strumento fondamentale per fare affari. Un altro ruolo importante era quello dello zio Rocco, il quale invece si occupava della distribuzione della carne. Oltre alle cinque macellerie di famiglia, disseminate nella provincia di lecce (Muro Leccese, Maglie, Cutrosiano, Curzi e Sanarica), la distribuzione con Latiano e Fragagnano toccava anche le provincie di Brindisi e Taranto.

Carne di cavallo
Oronzo Rinaldi e moglie

LA MACELLAZIONE

“I cavalli venivano macellati nei mattatoi dei rispettivi paesi”. In un giorno venivano lavorati anche 40-50 cavalli, un numero altissimo, impossibile da raggiungere senza la complicità dei custodi. Ad esempio, quello di Gallipoli apriva i cancelli già a notte fonda. Un comportamento illegale, certo, ma non per questo irriguardoso nei confronti delle bestie e delle pratiche di macellazione.

“Ai cavalli si dava fieno paglia e cereali, raramente mangime per puledri. Poi d’estate si faceva il beverone: acqua mischiata a crusca e avena, buttata sul fieno per farli mangiare e bere allo stesso tempo”. Luciana Rinaldi si sostituisce al cugino Claudio nel narrare la parte relativa all’allevamento e alla macellazione. “Mio padre lavorava solo cavalli che cresceva o forniti da gente di cui si fidava. I puledri venivano macellati a 13-14 mesi e a 24 li considerava già vecchi. Erano macellati per intero, quindi con la carcassa si poteva fare qualsiasi taglio: la fettina, il pezzetto, la noce, la coratella. Qui c’è usanza di prendere tutto dal cavallo. A parte gli zoccoli, si usano anche le guance, la lingua e la coda”.

Carne equina
I pezzetti di cavallo

I PEZZETTI DI CAVALLO

La Barbetta & Figli si è estinta negli anni Novanta ma il lascito di un commercio così importante di carne equina ha avuto un peso nella cucina locale. “Trovo importante che nel Salento ci sia un piatto cha ha avuto un tale riscontro nel popolo da essere diventato una tradizione”. Claudio si riferisce ai pezzetti di cavallo che per lui rappresentano il simbolo dell’incontro fra la cultura gitana e contadina. Una specialità che si ottiene con i tagli meno pregiati dei quarti anteriori ma non per questo meno saporita.

All’inizio questo piatto nasce come carne fatta a cubetti e cotta in umido. Poi è stato aggiunto il pomodoro e i pezzetti di cavallo sono diventato un piatto rosso. Nella zona gallipolina invece permane questo sughetto con meno pomodoro e più sapore. La carne cuoce a cottura lenta nell’acqua in un contenitore chiamato pignata e si aromatizza con sedano, carota, cipolla e fiori di garofano”.

di Fiorella Palmieri 22/06/2019

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